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  1. 01. ANNALISA intervista Rosanna: Mamma Gemella, psicologa del lavoro

    Buongiorno care MammeGemelle! Vi state sciogliendo dal caldo in città? Siete già in riva al mare a correre dietro ai vostri NaniGemelli? Bene! In entrambi i casi sono sicura che riuscirete a godervi la lettura di questo post ;)!

    Oggi ho scelto di portare avanti il tema della maternità e il mondo del lavoro, iniziato il mese scorso grazie al contributo del mio collega Paolo Lanciani stavolta però da una prospettiva nuovamente diversa: ho intervistato una MammaGemellaAnch’io un po’ speciale. Per questo motivo, prima di entrare nel vivo dell’intervista, comincio proprio con il ringraziare ROSANNA GALLO, la nostra protagonista, per la sua completa disponibilità e per la sua sincerità. Rosanna Gallo è una donna, una professionista e una mamma di due splendide ragazze Chiara e Monica di quasi vent’anni. Amministratrice unica di Eu-tròpia s.r.l., è Psicologa del lavoro, specializzata in Lavoro e Organizzazione e Benessere organizzativo. In particolare, uno dei progetti a cui Rosanna tiene di più è Moms@work: un progetto rivolto alle aziende per affrontare in modo strutturato ed organico il tema della diversity, con un particolare focus sulla genitorialità al lavoro. Ciò che maggiormente mi ha colpito di lei sono state la sua determinazione e il suo entusiasmo, trasmessomi in tutto quello che raccontava. Non erano solo le sue parole, ma il suo sguardo e tutta la sua gestualità emanavano energia pura…Bando alle chiacchiere ora… con molto piacere ve la faccio conoscere!

    Come hai reagito quando hai scoperto di aspettare dei gemelli?

    Ho pianto dalla gioia! Era un grande desiderio, sapevo che c’era la possibilità di una gravidanza gemellare e con il lavoro che facevo e che faccio non potevo permettermi due maternità, avrei perso tutti i clienti! Ho sempre sperato di avere due figli in un colpo solo, mi sono sempre detta che eventualmente uno lo avrei fatto e uno lo avrei adottato. Anche perchè ho sempre pensato che un figlio unico non lo volevo assolutamente. Quindi desideravo che fossero due, anche in contemporanea, per tenersi compagnia, visto che sia io sia mio marito eravamo spesso in giro per lavoro.

    Le tue figlie sono gemelle omozigote o eterozigote? A che settimana sono nate?

    Sono eterozigote e sono nate alla 38 esima settimana.

    Come è stata e come hai vissuto la tua gravidanza?

    E’ stata una gravidanza felicissima! Sono stata benissimo, le persone attorno erano attratte da com’ero felice e sorridente, ho preso l’aereo fino alla fine del settimo mese. Poi sono arrivate a settembre! Quando sono nate, una pesava due chili e mezzo, era bellissima, quelle bimbe da pubblicità della Chicco e tutti la prendevano in braccio, l’altra era bruttina! Pesava due chili ed è stata nella culla termica, però è stata anche quella che si è attaccata al seno prima, ha ciucciato in velocità e ha recuperato nel giro di poco più di una settimana.

    Allattamento naturale, misto o artificiale?

    Allattamento naturale, durato solo tre mesi sebbene avessi tanto latte. Allattavo ogni quattro ore. Poi ho ripreso a lavorare, anzi ho utilizzato le vacanze di natale per lo svezzamento.

    Hai avuto aiuti?

    Sì, avevo aiuti. Ho aspettato tanto per avere figli, ho aspettato i 38 anni e ho rischiato di non averne ma volevo essere sicura, nel momento in cui avrei avuto bimbi, di potermi e dovermi occupare solo di loro e non di faccende domestiche. Per fortuna quando le mie figlie sono nate avevo la possibilità di mantenere aiuti in casa e baby sitter.

    Cosa ti ha regalato e cosa ti ha tolto la maternità?

     Mi ha regalato il senso della vita, mi ha regalato la possibilità di riscattarmi anche da cose che nella mia infanzia non avevo avuto. E’ come se fossi rinata, rinata come più piaceva. Mi ha regalato gioie, commozioni, momenti terrificanti quando si facevano male. Mi hanno tolto un po’ di vita ogni volta che mi chiamava la scuola per avvisarmi che era successo qualcosa! Mi ha tolto un po’ di divertimenti che ho recuperato dai loro quindici anni. Mi ha tolto molte ore di sonno! Ma ho fatto tutto con estremo piacere.

    Durante la gravidanza hai utilizzato prodotti di bellezza o ti sei sottoposta a dei trattamenti estetici? Se sì Quali?

    Ho usato Rilastil con molta attenzione, sono stata fortunata perché ho preso 13 chili e ne ho persi 14. Non ricordo se ho fatto massaggi, in quel periodo lavoravo tanto. La pancia era grande, si vedevano anche le testoline muoversi, ma non ho preso nemmeno una smagliatura.

    Qual era il tuo look da pancia?

    Un look molto colorato e allegro, fiorito. Avevo molti apprezzamenti anche per strada da donne e uomini. Era anche più difficile vestirsi a quei tempi. Non nascondevo la mia pancia, mi piaceva mostrarla e ciò si notava, ho dei ricordi bellissimi di quel periodo.

    Come gestisci la tua quotidianità tra figli e lavoro? Che messaggio vorresti lanciare visto che siamo un blog di mamme rispetto al tema maternità e del lavoro? Cosa hai notato in questi anni nel modo di lavorare delle donne e delle mamme?

    Sono stata molto aiutata dall’accordo che c’è e che c’era sugli aspetti educativi con mio marito, su come educare le nostre figlie. Loro hanno visto il nostro accordo e ne hanno giovato. Abbiamo dato due regole ferree ma sul resto erano molto libere di essere come volevano. Non le abbiamo mai chiamate “le gemelle”, hanno due caratteri diversi, le abbiamo sempre vestite in modo diverso, non le abbiamo mai omologate e anche a scuola le abbiamo sempre separate. Hanno fatto insieme solo il nido.

    Io sono laureata prima di tutto in Pedagogia e solo dopo ho conseguito anche il titolo in Psicologia. Avevo studiato approfonditamente le ricerche effettuate sui gemelli, sulla natura e la cultura dei gemelli. Ho fatto di tutto e mi sono impegnata perchè avessero la loro unicità e perchè non fossero sempre confrontate o omologate. Loro invece qualche volta si sono divertite molto a fare le gemelle! Le regole sono due, come dicevo: la prima di non fare mai del male a se stesse e agli altri, di rispettare se stesse in toto; l’altra riguarda la libertà: “Avrete tanta libertà quanta responsabilità saprete dimostrare, più sarete responsabili più avrete libertà”.

    Hanno sempre reagito con assertività alla vita. Ho fatto anche un “esperimento” alla Piaget, visti i miei studi, anche se non ho mai voluto fare la psicologa delle mie figlie. Ho lavorato molto sul loro sviluppo emotivo, forse pensando ad una mia mancanza del passato: ho cercato di insegnargli a esprimere e riconoscere le loro emozioni, nominandole e rinforzando positivamente tutte le cose belle che riuscivano a fare. Sono state molto di aiuto anche alle loro compagne. Abbiamo sempre voluto che loro fossero libere di dirci tutto quello che desideravano, non abbiamo mai dovuto controllarle!

    Passando al tema lavoro e maternità, posso dire che anche secondo numerose ricerche il costo del lavoro della maternità nelle aziende è un costo di organizzazione e di fiducia: se le mamme riescono ad avere un rapporto di fiducia con il datore di lavoro, potranno e sapranno organizzarsi bene e al meglio. Se una mamma lavora con soddisfazione, produce delle figlie molto più orientate all’autonomia, all’indipendenza, orientate positivamente al mondo del lavoro. Credo che sia importante lavorare e non mollare.

    Ci sono ovviamente dei momenti difficili come i primi tre anni dei bambini in cui ci si sente spesso in colpa. Io stessa mi sentivo in colpa: avevo paura che dicessero “mamma” alla baby sitter e che iniziassero a camminare mentre io non c’ero. Non è successo nulla di tutto questo! Erano in grado distinguere tra me e la baby sitter e quando tornavo dal lavoro, scendevano dalle braccia della baby sitter e correvano in braccio a me; le loro prime parole, i loro primi passi, li hanno fatti con me e con il papà. Probabilmente ci tenevano anche a farmi vedere i loro progressi.

    Hanno vissuto molto con un solo genitore, eravamo presenti entrambi solo nel week end, e nonostante questo siamo riusciti a garantire una presenza costante, c’era un’interscambiabilità di ruoli. Anche se con i gemelli è difficile, sono sempre due e sono cresciute in fretta! Credo sia stato importante anche farle crescere con tanti amici e tanti ragazzi della loro età, infatti siamo diventati amici dei genitori dei loro amici e dei loro compagni di scuola. Avevamo costituito una piccola comunità! Organizzavamo molte attività e abbiamo sempre cercato di mantenere gli spazi per noi come coppia. Sul lavoro è importante essere in grado e avere il coraggio di chiedere aiuto, non si può sempre fare tutto perfetto. Sfinirsi non giova a nessuno. Credo sia importante esplicitare e mostrare il bisogno e l’esigenza di un sostegno, imparando a negoziare con il capo e con i colleghi questo periodo di maternità per poterlo gestire al meglio. Adesso le aziende sono un po’ più aperte, vi è un po’ più di sensibilità rispetto a questi temi. C’è ancora molto da fare comunque. Insegnando all’università mi rendo conto che le ragazze sono sempre molto brillanti, e così anche nel lavoro poi capita che dopo i trentacinque anni ce le perdiamo e questo è gravissimo per tutti, per le donne e per il paese. Però credo che essere più assertive e negoziare siano le caratteristiche più importanti che una mamma sul lavoro debba avere. Il doppio ruolo pesa, ma è anche un valore, s’impara tanto dall’uno e dall’altro: le competenze che si hanno in un ruolo sono trasferibili anche nell’altro e tendenzialmente tutti notano una maggior determinazione nella donna, più coerenza, più coraggio, si nota maggior capacità di organizzazione, di essere capaci di dare priorità alle situazioni, di focalizzazione.

    Quindi non mollate mai il lavoro se potete!

    Sono stufa di non vedere donne nei ruoli chiave delle aziende, ce le perdiamo per strada e ciò succede per due motivi principali: il primo è che a volte sono le donne che si auto ritirano. Noi promuoviamo questi incontri per il progetto moms@work in cui spesso le donne ci dicono che non ce la fanno. Come disse una delle mie bambine: “Mamma se tu sei felice, noi siamo felici”. Quindi una mamma insoddisfatta rischia davvero di impoverirsi e di intristirsi. L’altro motivo è che il top management parla maschile, il linguaggio è maschile, si dimenticano delle donne, come se fosse un Country Club maschile. Se non siamo noi a esprimere la nostra leadership, non lo faranno certo gli altri per noi.

    Il tuo compagno? Che ruolo ha nella gestione delle vostre figlie?

    Non volevo figli perché avevo un’idea di maschio e di padre non attento. Ho convissuto per molto tempo con lui finché non ho capito che poteva essere pronto, finché non ho capito che anche lui poteva essere co-autore della genitorialità. E poi si è dimostrato più bravo da me! Si gestiva pannolini e pappe con molta naturalezza. Ci siamo divisi molto i compiti, ancora oggi ci sosteniamo a vicenda nella gestione di Chiara e Monica.

    Se avessi potuto rivolgere una domanda a una delle nostre professioniste (Annalisa, psicoterapeuta e Caterina, puericultrice) cosa avresti domandato? E ora cosa chiederesti?

    La domanda che avrei fatto a una psicologa ai tempi in cui sono nate le bimbe, sarebbe stata questa: cosa fare per prevenire la depressione post parto? Alla puericultrice avrei chiesto di insegnarmi le cose pratiche, anche quelle più banali. Io non sapevo proprio come tenere in mano le mie bambine, come cambiare il pannolino (parlo soprattutto della gestione domestica) o come spiegare anche i sintomi in casi di malattie. In questo momento storico, ad una psicologa chiederei e suggerirei di focalizzarsi sul ruolo del papà: a volte i papà non riescono a fare i papà. Spesso le mamme assumono tutti i codici sia quello materno sia quello paterno e non lasciano lo spazio emotivo e cognitivo ai padri per partecipare alla crescita dei figli.

    Che consiglio daresti alle altre mamme di gemelli?

    Un consiglio per tutte le mamme, non solo per quelle dei gemelli è di non aver pudore di dire quanto li amiamo, cercare di esprimere desideri e bisogni, comunicare chiaramente ed esplicitare ciò che si prova. Non lasciarsi prendere dal perfezionismo! E’ meglio avere un letto disfatto, ma riuscire a giocare con i propri figli e dedicare loro del tempo di qualità. Non isolarsi, parlare con altre mamme, e soprattutto pretendere rispetto per questo ruolo. E’ un ruolo da valorizzare e non da nascondere. Siate mamme colorate e sorridenti! Una mamma anche al lavoro è utilissima, con tutte le sue competenze, con il suo calore. E non mollate il lavoro! In ultimo, non aderire a modelli suggeriti dai media, dai nonni o da chiunque altro, ma seguire i propri modelli.

    GRAZIE ROSANNA!

    www.eu-tropia.it

    Annalisa

    www.annalisacarrera.it

  2. 02. MATERNITA’ E LAVORO: PARLIAMONE!

    Eccoci di nuovo qui MammeGemelle!

    Nel post di questo mese ho deciso di trattare un tema che ultimamente sta diventando sempre più di attualità: la maternità e il mondo del lavoro.

    Spesso nelle interviste di MammaGemellanch’io leggo che con l’arrivo dei nanigemelli molte di voi si sono organizzate in nuovi modi, alcune buttandosi a capofitto in nuove esperienze e in nuove avventure, non senza mille perplessità e anche sensi di colpa…

    Be’, in effetti, quello che si nota con la maternità molto spesso è la capacità di noi donne di prendere il “toro per le corna” e di cercare di sviluppare nuove competenze. Anche se può suonare poco credibile, in Italia si sta iniziando a vedere il “mondo mamma” come un’opportunità: un trampolino di lancio anche per la carriera lavorativa.

    Sempre più iniziative per la parità di genere presentano la maternità come opportunità per sviluppare competenze da spendere sul posto di lavoro. Le aziende in Italia rilevano davvero queste potenzialità nuove delle mamme? Vale per tutte? Cosa succede nella realtà? A questo proposito mi sembrava interessante coinvolgere un collega, Paolo Lanciani e oggi chiediamo il suo punto di vista, quello di uomo, padre e psicologo del lavoro.

    Paolo qual è il tuo pensiero su questo tema?

    Fai benissimo a citare i vari ruoli della mia vita, si tratta, infatti, di un tema importante e complesso sul quale un solo punto di vista rischia di essere riduttivo; provo quindi a darne più di uno. Parto dal doppio ruolo di padre e marito. Se osservo Silvia, mia moglie, non posso che confermarlo. La sua capacità di organizzare e di gestire in modo pragmatico ed efficace la routine quotidiana, come anche i continui imprevisti e cambi di programma, è invidiabile. Inoltre mi colpisce il senso di responsabilità e la capacità di gestire il quotidiano pensando al futuro. Non so se queste competenze fossero latenti prima della nascita di Martino, o se si siano sviluppate ad hoc, certo è che in casa le mette in campo molto bene.

    Se penso al tema dal punto di vista dello psicologo del lavoro, il discorso è più complesso. So di dire una cosa impopolare, ma non è scontato che una mamma riesca o voglia portare le proprie competenze sul lavoro. Rispetto al riuscire, non è detto che le capacità messe in campo a casa, siano realmente competenze. Qui vale la pena esplicitare una distinzione: per capacità intendo l´abilità di riuscire a svolgere un determinato compito in uno specifico contesto; per competenza intendo la possibilità di agire quella stessa capacità in maniera altrettanto efficace in contesti diversi. In concreto, il fatto di riuscire a organizzare la spesa per casa, non si traduce automaticamente nella competenza di gestire un ufficio acquisti. “Ma come? In fondo a casa devo gestire tutto in autonomia e organizzarmi rispetto a mille altre attività, mentre in azienda ho a disposizione processi, budget, team…?” È proprio questo il punto: l´organizzazione è un sistema complesso dove non conta solo la competenza individuale, ma la capacità di agire in interdipendenza con le altre persone e funzioni. Quando svolgo degli assessment -diagnosi sulle competenze manageriali di un candidato- molto spesso le aree di miglioramento, a prescindere dal sesso della o del candidata/o, sono proprio legate a questi aspetti sistemici, piuttosto che a competenze più individuali. Credo quindi che la sfida per le professioniste che rientrano dalla maternità, sia quella di prendere consapevolezza delle competenze sviluppate o rinforzate, ma anche di ricontestualizzarle e combinarle con la capacità di impiegarle nel complesso sistema organizzazione.

    C´è poi il tema del volere; la motivazione è un motore essenziale per essere efficaci ed esprimere a pieno il proprio potenziale. Avere consapevolezza di quale ruolo giochi nella propria vita l´attività professionale è determinante. Sta alla singola persona chiarirsi e condividere esplicitamente quale sia il proprio investimento. Credo che questo tema sia spesso sottovalutato, anche al di la della questione di genere. Troppo spesso si vive nel mito di una crescita di carriera verticale, a prescindere dalle reali inclinazioni e motivazioni. Come se voler essere un buon professionista e non per forza un top-manager, fosse una colpa, e questo vale anche, e forse soprattutto, per gli uomini. Intendo dire che i tradizionali percorsi di carriera non sempre rispondono alle reali aspirazioni e inclinazioni delle persone e, in questo caso, delle neo mamme. Non mi sento di generalizzare, ogni persona è una storia a sé, l´importante è essere profondamente consapevoli di dove e come si voglia investire.

    Infine, ma non meno importante, penso al ruolo di uomo. E qui il protagonista diventa un altro, ovvero, chi resta in azienda e riaccoglie, o meno, chi rientra dalla maternità. Un’azienda che non sappia riconoscere il valore aggiunto che una neomamma porta all´azienda e che si concentri solo sugli apparenti o reali svantaggi, non solo non riuscirà a valorizzare la persona e le sue competenze, ma anzi la sottoimpiegherà, generando di fatto un costo. Qui la responsabilità degli uomini è centrale! Il rischio di trattare le colleghe secondo pregiudizi o preconcetti è altissimo. E più la discriminazione è involontaria o inconsapevole, più è pericolosa. Pensate a chi non propone un determinato incarico a una collega perché ritiene, senza chiedere, che possa essere troppo faticoso o impegnativo per una mamma. Pochi giorni fa un candidato ad un assessment durante l´intervista mi spiegava candidamente come lui fosse il candidato migliore perché la collega parigrado era appena rientrata dalla maternità e “probabilmente” voleva una posizione più tranquilla… Peccato che lui stesso proprio in quel momento fosse in paternità… Due pesi e due misure, senza minimamente esserne consapevole.

    Spesso poi, sono persino le donne, non mamme, a vivere la maternità delle colleghe e collaboratrici come un ostacolo piuttosto che un´opportunità. Insomma qui il tema è culturale e va affrontato sia a livello di assunzione di responsabilità individuale, sia a livello organizzativo con un impegno strategico da parte del top-management. Questo non per bontà d´animo, ma per interesse economico, perché una persona che esprima a pieno il proprio potenziale è generatrice di maggiore profitto.

    In sintesi, considero la maternità come una splendida opportunità, che però va saputa accogliere, sia dalla mamma in prima persona, sia dal contesto organizzativo.

    Paolo Lanciani – WWW.PSICOLOGIDELLAVORO.IT

    Vi lascio anche un interessante contributo che potrà sicuramente far riflettere: Riccarda Zezza, Maternità e lavoro femminile: “Stereotipi e nuovi paradigmi” – PIANO C

    E VOI COSA NE PENSATE? CHE LAVORATRICI SIETE?

    photo credit: www.pinterest.com

  3. 03. CASOMAI, C’E’ UNA PORTA APERTA…

    Oggi voglio farvi entrare in un’esperienza diversa dal solito “leggo il post di una psicologa”.

    No. Oggi voglio farvi pensare, voglio che vi poniate domande a cui probabilmente non troverete risposte giuste o sbagliate: semplicemente perché non vi è una sola risposta.

     Oggi voglio mostrarvi l’amore, i sentimenti, le paure: voglio parlare di uomini e donne che si incontrano e che si amano e che intendono costruire insieme un progetto di vita.

     Oggi non ho intenzione di spiegare meccanismi psicologici alla base delle dinamiche di coppia e/o dell’essere genitori: oggi voglio stare dalla stessa parte della barricata, perché non esiste psicologo o professionista che possa dirvi cosa fare o cosa dire di giusto in certe situazioni. Esistono psicologi che possono entrare in punta di piedi ed essere accolti nella vostra storia raccontata e possono cercare di capire con voi, di prendervi per mano e mostrarvi ciò che a volte ad occhio nudo non è possibile osservare. Esistono psicologi che proveranno a “ribaltare” il vostro punto di vista.

     Cosa vuol dire per voi essere una coppia? Cosa significa voler diventare genitori?

    Avete mai visto il film CASOMAI?

    Tralasciando i commenti o i giudizi di critica cinematografica, credo che questo sia un film che ben rappresenta e fotografa, con una spiccata sensibilità, precisi momenti della vita di una coppia e della vita di due neogenitori.

    E’ la storia di Stefania e Tommaso, si conoscono, si piacciono, si innamorano, si sposano.

    Nasce anche un bel bambino, Andrea. Sembrerebbe una storia perfetta la loro…

     All’inizio è tutto bello: ci si innamora, si entra l’uno nella vita dell’altra, si decide di andare a vivere insieme e ci si sposa.

    C’è un’immagine, fortissima a mio parere, che rimanda Stefania e che dominerà tutto il film: due pattinatori che danzano…

    Poi tutto cambia… arrivano lui/lei/loro e la vita a due magicamente si trasforma in un triangolo, un triangolo però in cui il vertice non è rappresentato solo da un figlio, ma anche da tutto quello che circonda la NASCITA DI UNA FAMIGLIA (nonni, fratelli, cognati, amici, lavoro…).

    Il film si dispiega in un susseguirsi di vicende e di situazioni che a mano a mano portano la coppia a fermarsi e a porsi delle domande:

    COSA CI STA SUCCEDENDO?

    DOVE STIAMO ANDANDO?

    CI AMIAMO ANCORA?

    La loro vita inizia ad assomigliare più a una gara, una corsa in cui vince chi fa soccombere l’altro: dove è andata a finire l’intesa che permetteva ai due pattinatori di danzare insieme seppur su un terreno scivoloso e duro?

    Poi, ad un certo punto, la scena cambia e si torna in chiesa, durante la celebrazione del matrimonio…

    Ciò che esprime questo film è un messaggio semplice ma non banale: IL MATRIMONIO E’ UN FATTO PRIVATO.

    Il paradosso è che non potrebbe essere privato se non esistessero le persone che ci circondano: sono due facce della stessa medaglia. Cerco di spiegarmi meglio.

    Amici e parenti sono parte integrante della vita di una coppia e di una neo famiglia e questo rappresenta indubbiamente una grande risorsa, soprattutto per dar modo ai nuovi genitori di prendere delle boccate di ossigeno dalla routine, dalla pressante vita quotidiana, permette di diseppellire tutto l’amore e l’affetto per l’altro e per ritrovare quella dimensione a due che non dovrebbe mai essere persa di vista (ma può capitare). Sovente però succede che proprio quelle persone che offrono il loro aiuto e sostegno possano rivelarsi le stesse che, non volendo, creano difficoltà e dissapori nella coppia: LE PERSONE CHE SI AMANO FANNO PAURA, ma è possibile fronteggiare questa paura aiutandosi a gestire nel modo migliore confini e relazioni.

    E voi? A quale immagine si ispira il vostro matrimonio e la vostra famiglia?

     

  4. 04. TUTTI A TAVOLA! SI MANGIA … E SI COMUNICA!

    <<L’alimentazione s’inscrive in una rete di scambi e di mediazione tra gli individui; infatti, offrire e ricevere il cibo, mangiarlo insieme, significa riconoscere e accettare reciprocamente i legami che si stabiliscono o che si riaffermano>> (Apfeldorfer, 1993, pg.15).

    <<Per tutti gli esseri viventi mangiare è una necessità vitale irreprimibile, uno slancio vitale incontrastabile […]. Non è possibile, tuttavia, ridurre un atto così importante, alla semplice ingestione di elementi nutritivi destinati a fare da “carburante” al nostro organismo>> (Apfeldorfer, 1993, pg.5; pg.14).

    Eccoci care mamme, cominciamo a toccare uno degli argomenti “caldi” che fanno parte della crescita di un bambino e anche come genitore: l’ALIMENTAZIONE.

    Avete mai notato che una delle prime informazioni che si danno/ricevono e che si chiedono appena nasce un bambino riguarda il peso?

    “Ebbene Sì… E’ nato/a…, il nostro cucciolotto pesa 3 chili e 500 grammi!”: questo è un esempio del primo messaggio che ci appare sul cellulare quando ci avvisano del lieto evento.

    Per quale motivo si dà così importanza ad un elemento che, in fin dei conti, potrebbe essere relativo per chi riceve tale informazione?

    La mia risposta è molto semplice ma diretta: perché attraverso le variazioni di peso di un bambino si può capire se CRESCE, se è SANO ed in BUONA SALUTE.

    L’argomento “alimentazione” è talmente vasto e di grande interesse che sicuramente non esaurirò i vostri dubbi o le vostre domande (di questo ne sono certa!) però vorrei cominciare a soffermarmi su uno degli aspetti che in quanto psicologa mi sta più a cuore: il significato sotteso al nutrimento.

    Ho iniziato questo post riportando una citazione che, a mio parere, descrive molto bene cosa si intende per alimentazione: MANGIARE è PRIMA DI TUTTO UNO SCAMBIO COMUNICATIVO. Quale messaggio quindi si riceve e si invia quando si mangia?

    Mangiare è comunicare.

    Il primo gesto che si compie in ambito alimentazione/comunicazione è proprio l’allattamento… ALT! Questo non vuol dire che non allattare significa non comunicare e non entrare in relazione con il proprio bimbo! L’allattamento serve a dare dei ritmi, serve ad esprimere un contatto visivo, olfattivo ed EMOZIONALE tra madre e bambino, ma ricordiamoci che tutto ciò può avvenire anche con le coccole e gli abbracci che ragalate a profusione ai vostri nanetti.

    Per svilupparsi normalmente il lattante non ha bisogno solo di essere nutrito e tenuto pulito, ma anche di affetto e di tenerezze. E’ stato Winnicott che ha sottolineato per primo la necessità dell’empatia materna per il corretto sviluppo del bambino (Winnicott D.W., 1969). Per il bambino non sono importanti i singoli comportamenti, ma, è il clima emotivo generale e l’atteggiamento che la madre ha verso di lui che viene percepito in maniera globale.

    Avendo quindi la nutrizione tutta questa importanza mi sembra ovvio che i NaniGemelli (ma non solo!) cerchino di attirare la vostra attenzione dimostrando il loro “potere” nella scelta di mangiare o non mangiare, di lanciare il cibo preparato con tanto impegno sul vostro nuovo maglioncino o di tirare a lucido il piatto neanche fossero delle idrovore ripossedute dal demonio! Teniamo a mente sempre che il pasto rappresenta il momento in cui i bimbi sanno che saranno insieme a voi genitori (o alle persone che si prendono cura di loro durante il giorno): è uno spazio di condivisione e di comunicazione, appunto. E come possono mandare messaggi se non attraverso dei gesti e delle azioni?

    Ciò che vorrei esprimere riguarda l’importanza di focalizzare e dirigere l’attenzione in primis sul ruolo che il modo di alimentarsi riveste all’interno delle relazioni. Il tema dell’alimentazione quindi deve essere affrontato tenendo conto del significato che essa assume per tutti i membri della famiglia.

    Spesso mi viene chiesto se vi siano dei modi giusti o sbagliati di affrontare una corretta educazione alimentare (pasti quotidiani, spuntini, merende e così via) perché spesso i genitori sono fortemente preoccupati rispetto alla malnutrizione dei bambini (sia in eccesso sia in difetto). Ciò che risulta importante non è solo il QUANTO ma il COME un bimbo viene alimentato.

    A questo proposito volevo sottoporvi ciò che la letteratura suggerisce riguardo all’influenza delle relazioni familiari e dell’obesità infantile. Alcuni autori hanno avanzato l’ipotesi che l’obesità e l’iperalimentazione sarebbero la conseguenza di relazioni complesse e spesso alterate all’interno della famiglia per cui il cibo è usato non solo per soddisfare il bisogno fisiologico ma diventa un mezzo per esprimere affetto o per creare alleanze. Infatti, Ganley (1992) studiando un gruppo di 120 madri di bambini obesi ha rilevato che i genitori di tali bambini apparivano più disimpegnati e più rigidi, la comunicazione nella coppia genitoriale era deludente e poco sviluppata e spesso avevano difficoltà a gestire sentimenti di rabbia e frustrazione (Ganley R.M., 1992; Harkaway J.E., 1989).

    L’ambiente familiare e, particolarmente le relazioni con i genitori, hanno un ruolo determinante nello sviluppo e nel mantenimento dell’obesità infantile, infatti, come è emerso da numerose ricerche, la famiglia svolge un ruolo importante sia nello sviluppo sia nella prevenzione dei problemi di peso (Epstein, Klein, Wisniewski, 1994; Epstein, 1996).

    Quello che risulta fondamentale sottolineare, secondo me, al di là delle ricerche psicologiche e relazionali, è quello che voi genitori di NaniGemelli riuscirete a trasmettere alle vostre piccole pesti: più loro percepiranno e sentiranno la vostra “presenza” – che non vuol dire solo esserci, ma anche partecipare – più i momenti dei pasti saranno piacevoli e “gestibili”; più darete regole e vi manterrete coerenti con le decisioni prese (la merenda è alle 16? Bisognerà cercare di mantenere costante la regolarità dell’orario per far sì che si crei l’abitudine che dà ai NaniGemelli SICUREZZA) più il vostro bimbo affronterà sereno quel piatto colorato pieno di pappe buone!

    … E ora tutti a tavola, si comunica… ops, volevo dire SI MANGIA! ;)

  5. 05. DUE PER UNO = UNO. RICERCARE UN’INDIVIDUALITA’ NELL’ESSERE IDENTICI.

    Eccoci qui care MammeGemelle.

    Devo ammettere che inizialmente è stato strano pensare di scrivere ad un pubblico “ignoto” (passatemi il termine, imparerò a conoscervi!), piuttosto che essere in uno studio ed avere di fronte persone in carne ed ossa con una problematica da discutere.

    Poi, riflettendo, mi sono accorta che molto spesso, anche quando si è in una stanza di terapia, né il terapeuta né il paziente hanno ben chiaro fin da subito quale sia il reale problema per cui si chiede aiuto, ma attraverso domande, intuizioni e grazie alla storia raccontata dal paziente, i pezzi del puzzle si ricompongono: perché la terapia è come una danza, con dei ritmi, dei passi e dei turni, una coreografia che si costruisce insieme. Quindi, mi sono detta: “proviamoci, non potrà accadere nulla di male”!

    DUE PER UNO = UNO: RICERCARE UN’INDIVIDUALITA’ NELL’ESSERE IDENTICI.

    Anche se in questo momento siete “sintonizzate” su MammeGemelle.it, blog nato dal cuore e dalla mente di tre mamme di gemelli/e, ho deciso di focalizzare i post che scriverò non solo sull’essere genitori di gemelli (non dimentichiamoci i papà, per favore!), ma ho intenzione di rivolgermi a qualsiasi mamma ed a qualsiasi papà: in fondo, gioie e fatiche sono le stesse, solo moltiplicate per due (o più)!

    Quali sono i vantaggi dell’essere in due fin dalla nascita? Vi sono, al contrario delle difficoltà da dovere gestire? Essere l’esatta copia dell’altro può rappresentare un problema?

    L’altro giorno, la nostra Francesca ha postato una foto delle sue splendide ragazze, come è solita chiamarle lei: Giulia e Vittoria avevano trovato molto divertente utilizzare uno dei sanitari del bagno – il bidet – come una comoda poltrona. Ma quale era la peculiarità di questa buffa immagine (oltre ovviamente alle bambine accovacciate nel bidet…)? Ebbene, anche Francesca si sta rendendo conto di un fatto molto interessante: seppur in due bagni diversi, le due bimbe erano proprio nella medesima posizione.

    I gemelli hanno questa caratteristica, si capiscono al volo, quasi telepaticamente e molto spesso possono anche anticipare pensieri ed azioni dell’altro. In questo modo non saranno mai soli, anzi condivideranno momenti, esperienze e relazioni.

    Ecco, immortalando questa situazione ed enfatizzando il gioco di Giulia e Vittoria, Francesca non ha fatto altro che gratificare le due bambine nei loro gesti identici, ma scelti individualmente dall’una e dall’altra.

    Ciò che si è maggiormente notato è che molto spesso quando due fratelli gemelli sono vicini e molto intimi cercano in tutti i modi di “polarizzarsi” nei comportamenti e nei pensieri. Cosa si intende con questo concetto? Più i gemelli saranno a stretto contatto più cercheranno di accentuare le loro caratteristiche peculiari: vi sarà quindi uno dei due che avrà, per esempio, atteggiamenti più estroversi e l’altro meno. Uno sarà più accondiscendente e l’altro più autoritario, uno sarà più generoso e votato al sacrificio e all’impegno, mentre l’altro cercherà in tutti i modi qualche scorciatoia o scappatoia per sfuggire ai doveri quotidiani. Le due modalità saranno però sempre strettamente interconnesse: l’una non potrà esistere senza l’altra, ciascun significato può esistere solo in rapporto ad un altro che gli si oppone.

    Insomma Francesca, una delle due ragazzine andrà a fare combattimenti di thai boxe e l’altra, probabilmente, preferirà passare i pomeriggi a scambiarsi confidenze con le amiche!! ;)

    Il “posizionarsi”o “l’essere posizionato” (positioning) e il polarizzarsi negli scambi comunicativi all’interno delle relazioni e dei nuclei familiari non capitano di certo solo ai gemelli: ognuno di noi ha una posizione ed un ruolo inserito nel gruppo “famiglia” che può inevitabilmente modificarsi con l’avvicendamento degli eventi della vita.

    Ma quando e come questo può diventare un problema da affrontare e da dover gestire?

    Il mio parere è che molto spesso capita che si cerchi di correggere tale atteggiamento di polarizzazione, pensando di fare il bene dei propri bambini. Senza volerlo, si danno più attenzioni o si fanno maggiori critiche a chi dei due manifesta il comportamento più difficile da contenere e viceversa.

    Invece sarebbe bene riconoscere e apprezzare le loro diversità e la loro unicità, senza sopprimerle o soffocarle, perché sarà proprio grazie alle loro diversità che saranno degli adulti completi in futuro. Saranno ragazzi e ragazze che, pur con le difficoltà della vita, sapranno affrontare il mondo senza sviluppare quella specifica sensazione di non completezza dell’io, come se mancasse una parte di sé.


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